Il cambiamento è una parte inevitabile della vita organizzativa e spesso genera conflitti fra i membri dell’organizzazione.
Come possiamo gestire efficacemente un processo di cambiamento organizzativo? Come si possono attenuare i conflitti generati dal cambiamento?
Occorre partire da una premessa: se ci occupiamo di cambiamento organizzativo dovremmo guardare l’organizzazione come un sistema, invece di focalizzare l’attenzione solo sulle sue singole parti. Sarebbe quindi opportuno concepirla come un insieme composto da gruppi e individui, ognuno dei quali può contribuire al processo di cambiamento o, per contro, indebolirlo, a seconda del modo in cui se lo rappresenta.
Per questa ragione, il primo passo di ogni processo di cambiamento organizzativo dovrebbe consistere in una accurata analisi di insieme, volta ad accertare chi è coinvolto dal cambiamento e che rappresentazione ne ha. Si tratta del processo di identificazione degli stakeholder: ogni persona o gruppo coinvolto dal raggiungimento degli obiettivi organizzativi o che può incidere su si essi.
Spesso dimentichiamo che le persone nelle organizzazioni necessitano di una ragione (meglio se buona!) per accettare il cambiamento e decidere di portarlo avanti.
Per questo motivo, quando un’organizzazione avvia un processo di cambiamento, dovrebbe dare risposta ad alcune domande fondamentali:
chi sarà toccato dal cambiamento?
Come se lo rappresenta?
Abbiamo spiegato a queste persone che tipo di cambiamento stimo perseguendo e in quale modo questo modificherà il loro lavoro, le relazioni sul osto di lavoro e, in ultima istanza, la loro vita?
E soprattutto, abbiamo fornito loro una valida ragione per accettare il cambiamento e sostenerlo?
Se intendiamo minimizzare i conflitti dovuti al cambiamento, seguendo questa impostazione dovremmo discuterne con tutte le persone che ne sono in qualche misura coinvolte. L’obiettivo è quello di chiarire loro i pro e i contro dell’innovazione proposta.
Se dimentichiamo di coinvolgere gli stakeholders in questo primo, fondamentale passaggio, inoculiamo involontariamente il germe del conflitto all’interno dell’organizzazione.
Infatti il personale dell’organizzazione, se solo vagamente consapevole del processo di cambiamento in atto, tende a reagire negativamente ad esso. Inoltre, in questa condizione di consapevolezza parziale, le persone tentano di trovare da sole l’informazione che non hanno, in modo da avere un quadro completo di ciò che sta accadendo. Le “voci di corridoio”, in questo contesto, spesso non sono altro se non una reazione inadeguata, ma comprensibile, all’assenza di un’informazione esauriente.
Fra le reazioni da considerare nella gestione del cambiamento, vi sono quelle legate alle emozioni: le più comuni sono l’ansia e la paura, soprattutto se l’innovazione non è compresa a causa della scarsa informazione disponibile.
In un simile contesto si genera resistenza nelle persone coinvolte dall’innovazione. Le conseguenze più evidenti sono il rallentamento o il tentativo di ostacolare il processo.
Per contro, se chi promuove in cambiamento compie lo sforzo di riconoscere il problema nella sua complessità e tenta di comprendere come esso viene rappresentato e quali emozioni che genera, può trovare una grande quantità di informazioni che consentono di correggere e migliorare l’impostazione dell’intero processo.
La dettagliata conoscenza delle ragioni che generano la resistenza al cambiamento, e il conflitto che ne consegue, costituisce uno strumento fondamentale per l’implementazione dell’innovazione. Si tratta di uno strumento organizzativo cui, chi intende promuovere l’innovazione, non dovrebbe rinunciare.
Per riassumere, possiamo affermare che chi propone un processo di cambiamento organizzativo, dalle sue prime fasi, dovrebbe essere in grado di fornire una chiara risposta alle seguenti domande:
chi ne sarà coinvolto?
Per quali ragioni dovrebbe sostenere il cambiamento?
Abbiamo comunicato loro chiaramente quali sono gli obbiettivi e le implicazioni del cambiamento che proponiamo?
Stiamo gestendo attivamente l’ansia e l’incertezza che il cambiamento inevitabilmente genera?
Nel momento in cui i promotori del cambiamento divengono consapevoli che si stanno affrontando delle resistenze e insorgono dei conflitti interni all’organizzazione, dovrebbero porsi alcune ulteriori domande:
chi manifesta le maggiori resistenze?
Per quali ragioni queste persone o gruppi resistono al cambiamento?
Stiamo attivamente raccogliendo informazione su questi temi?
Attraverso le risposte alle domande fino ad ora elencate si possono più facilmente gestire le resistenze al cambiamento.
Ricordiamo che, in generale, esse sono alimentate da carenza di:
informazione sul processo e sulle sue implicazioni;
supporto ricevuto dai superiori o dall’organizzazione nel suo complesso;
competenze per portare a termine correttamente i nuovi compiti;
fiducia nella dirigenza, nell’organizzazione e nei suoi obiettivi;
obiettivi chiari, definiti;
coerenza nelle scelte compiute (a solo titolo di esempio: troppi cambiamenti succedutisi nel recente passato, decisioni contraddittorie prese in precedenza dalla dirigenza).