La valutazione delle prestazioni del personale è uno dei passaggi meno graditi della vita organizzativa.
Erroneamente si ritiene che tale giudizio provenga dalle persone sottoposte a valutazione.
In realtà, almeno sulla base delle esperienze di consulenza da me condotte nell’arco di due decenni, la valutazioni delle prestazioni e, soprattutto, la conduzione del colloquio di valutazione[1] è un’attività particolarmente sgradita al valutatore.
Per quanto possa sembrare paradossale, è il valutatore a sentirsi in una situazione di maggiore difficoltà emotiva, soprattutto se pensa di dover dare dei feedback negativi: è spiacevole dire a un collaboratore che non lavora come ci si aspetterebbe, si temono le sue reazioni emotive (la rabbia, così come la delusione o il dispiacere), si teme infine di generare un conflitto che comprometterà la possibilità di continuare a lavorare in futuro.
Chi valuta spesso tende a proteggersi da questa esperienza sgradevole semplicemente evitandola: “…La valutazione non serve… I miei collaboratori sanno che non li valuto e così sono più tranquilli…!”.
In altri casi, assai frequenti, i valutatori ricorrono a una tecnica di evitamento più sottile: svuotano la valutazione dei suoi reali contenuti, rendendola poco più di una formalità, un rituale organizzativo da sbrigare il più in fretta possibile: “I miei collaboratori ricevono una valutazione che è uguale per tutti. Non c’è neanche il bisogno di comunicarla perché la conoscono già!.
Inutile dire che la valutazione delle prestazioni, condotta in questi modi, non è di nessuna utilità e finisce per rivelarsi controproducente.
D’altro canto, spesso non si considera che il personale generalmente accoglie con soddisfazione possibilità di discutere, con il proprio capo, il modo in cui lavora. Infatti, una delle frequenti lamentele che raccolgo nel corso delle mie consulenze è: “Il mio capo non mi dice mai se faccio bene o faccio male!”.
Naturalmente la valutazione è accolta con maggior favore quando la relazione fra capo e collaboratore è caratterizzata da reciproca fiducia e sostegno (si veda l’articolo “Gestire le resistenze verso il cambiamento organizzativo”) e si ritiene che sia condotta con criteri di equità e trasparenza.
Come possiamo, allora, rendere più efficace la valutazione delle prestazioni?
In primo luogo dovremmo essere in grado di rispondere a due domande:
- a cosa serve valutare il personale?
- per quale motivo condurre il colloquio di comunicazione della valutazione?
La valutazione delle prestazioni dovrebbe avere la funzione di allineare i comportamenti organizzativi. Attraverso la valutazione si tenta di ridurre quella parte di variabilità nei comportamenti che può rendere più difficile il raggiungimento dei risultati dell’organizzazione, qualsiasi essa sia e quali che siano gli obiettivi che intende perseguire.
Detto in termini meno formali, attraverso la valutazione delle prestazioni si incoraggiano, nei membri dell’organizzazione, i comportamenti funzionali al raggiungimento del risultato e si tenta di correggere quelli che lo ostacolano o che si rivelano improduttivi.
Possiamo così affermare che la valutazione delle prestazioni è uno strumento organizzativo volto a coordinare gli sforzi di tutte le persone che vi operano, convogliandoli verso un risultato definito.
Valutare, quindi, non è necessariamente l’equivalente di sanzionare, e allineare i comportamenti non sempre è sinonimo di “mettere in riga” i propri collaboratori!
Inoltre, spesso si dimentica che la valutazione delle prestazioni, e la sua comunicazione, svolge una funzione importante anche nei confronti di chi eccelle e vede esplicitamente riconosciuti i propri sforzi.
Perché la valutazione delle prestazioni sia condotta efficacemente, sono necessari alcuni presupposti:
- i criteri in base ai quali condurre la valutazione devono essere del tutto chiari al valutatore;
- i criteri di valutazione devono essere completamente chiari alla persona valutata;
- l’osservazione dei comportamenti professionali si deve condurre sistematicamente e per un periodo protratto di tempo;
- la valutazione deve essere comunicata dal valutatore al valutato, entrando nel merito dei comportamenti messi in atto e di come questi siano, o non siano, conformi rispetto ai criteri adottati.
Detto in termini più semplici:
- se valutiamo una persona, dobbiamo avere ben chiaro quali comportamenti vorremmo incoraggiare e quali correggere. Dovremmo, in sostanza, poter descrivere concretamente in cosa consistono tali comportamenti, senza limitarci a generiche descrizioni di caratteristiche personali (cosa significa, ad esempio, la voce: “Apertura e collaborazione” che ho trovato in una scheda di valutazione di una grande azienda?);
- se una persona viene valutata, deve avere le idee chiare in merito a quali sono i comportamenti ritenuti appropriati e quali no. Non è possibile, ad esempio, che li scopra nel corso del colloquio di restituzione della valutazione, o che si renda conto solo in quel momento di cosa concretamente ci si aspetta da lei;
- la valutazione delle prestazioni non può essere episodica. Non possiamo, in altri termini, ricordarcene solo in un certo momento dell’anno: dovremmo essere capaci di raccogliere sistematicamente indicazioni sulle prestazioni individuali, annotandole;
- la valutazione non comunicata e discussa con la persona valutata non ha nessun valore in termini organizzativi. Mettiamoci nei panni della persona valutata: sappiamo di avere ricevuto una valutazione negativa ma non siamo in grado di comprendere chiaramente per quali ragioni. Finiremo per sentirci accusati senza avere la possibilità di difenderci e non sapremo come intervenire per cambiare la situazione in futuro. Per contro, se abbiamo ricevuto una valutazione positiva ma non siamo in grado di comprendere quali, fra i nostri comportamenti, sono stati premiati, ci troveremo in una situazione di incertezza.
Un’ulteriore precisazione deve essere fatta: la valutazione delle prestazioni e il colloquio di restituzione della valutazione sono due momenti dello stesso processo, ma svolgono funzioni distinte.
Deve essere chiaro che la “valutazione” non si effettua durante il colloquio: ha luogo in precedenza, si basa su dati e fatti concreti, abbraccia un periodo di tempo sufficientemente prolungato (generalmente oscilla tra i sei mesi e un anno). Nel corso di questo periodo, sulla base di criteri chiari (ripetiamo: chiari a noi e alle persone valutate), si raccolgo indicazioni sui comportamenti lavorativi messi in atto dal collaboratore, possibilmente annotando gli eventi più significativi, siano essi positivi o negativi.
Generalmente, quest’ultima indicazione pratica genera un’immediata obiezione da parte di chi deve condurre la valutazione: “Se devo anche prendere nota dei comportamenti, non rimane più tempo per il resto del mio lavoro!”.
Certamente si tratta di un impegno in più, ma avere ben chiaro su cosa si basa la nostra valutazione, essere in grado di ricondurla a comportamenti concreti e a specifici eventi, renderà più semplici due passaggi:
- la conduzione del colloquio di restituzione della valutazione, che basandosi su esempi concreti sarà di più facile conduzione;
- la validazione della nostra valutazione, che risulterà più ponderata e funzionale nel mettere a fuoco i comportamenti identificati. Vi è il rischio, infatti, che nel valutare ci si basi sulle emozioni di un dato momento o che alcuni eventi – ciò che il collaboratore fa – restino più impressi di altri nella nostra memoria, indipendentemente dalla loro frequenza (si veda l’articolo: “La pretesa dell’oggettività nella valutazione delle prestazioni”).
Per riassumere, possiamo dire che una corretta valutazione delle prestazioni presuppone:
- la chiarezza dei criteri adottati, a tutti i livelli dell’organizzazione;
- la raccolta sistematica di dati sulle prestazioni dei valutati;
- un momento di sintesi e bilancio dai dati raccolti (da parte del solo valutatore) ricorrendo allo strumento di valutazione in uso;
- la conduzione del colloquio di comunicazione della valutazione con il valutato.
L’adozione di questi criteri, e la messa in atto dei passaggi indicati, contribuisce a rendere più efficace e motivante il momento della valutazione delle prestazioni e a contenere la conflittualità che spesso genera.
[1] In realtà si tratta del “colloquio di restituzione della valutazione” in quanto, come vedremo in seguito, la valutazione non si effettua durante il colloquio.